Chi è quella ragazza?Intervista a Shygirl - SENTIREASCOLTARE

2022-09-24 03:53:53 By : Mr. Antares Chou

In Confidence Culture (2022), una recente pubblicazione a cura di Shani Orgad e Rosalind Gill, le autrici scrivono: «Essere sicuri di sé è l’imperativo dei nostri tempi. Mentre ineguaglianze di genere, razza e classe diventano sempre più profonde, le donne sono continuamente chiamate a credere in se stesse». Passando al setaccio hashtag, campagne pubblicitarie e cultura pop, le autrici mostrano come negli ultimi vent’anni i richiami a proiettare un’immagine sicura di sé in corpo e spirito siano diventati non solo ubiqui, ma saldamente ancorati nel mainstream.

Pur contribuendo a una generale cultura d’incoraggiamento, notano Orgad e Gill, troppo spesso questi richiami finiscono per responsabilizzare l’individuo, senza mettere in luce i problemi strutturali e materiali alla base di insicurezze personali e collettive. Un po’ come se ci dicessero: «Sii badass, smettila di lamentarti. Sei tu il tuo peggior nemico».

Che la cultura musicale di pop e dintorni degli ultimi vent’anni abbia contribuito a disseminare immagini e slogan intrecciati a questo presunto “culto della sicurezza di sé” appare piuttosto ovvio. Ben più difficile, come le stesse autrici riconoscono tra le righe, è capire come ciascun artista si muova in questo panorama, affrontandone le contraddizioni. La musicista, DJ, rapper e regista Blane Muise, in arte Shygirl, ha molto da dire sull’argomento. Nel 2016 irruppe nella scena musicale di Londra con il singolo Want More, co-prodotto dal fedele collaboratore Sega Bodega, fondatore dell’etichetta NUXXE con Shy e la musicista francese Coucou Chloe. «You wanna fuck fast? (I’m into it) / You wanna play rough? (I’m into it) / I want more», rappava a rotta di collo su un’algida produzione grime. Il brano, ancora oggi considerato da Shy uno dei momenti più «coraggiosi» della sua carriera, ripescava e decostruiva in chiave HD un litigioso erotismo conflittuale à la Lil’ Kim, concludendo: «It’s all about me».

Dal 2016 a oggi la scena musicale internazionale ha assistito a un’ascesa pressoché inarrestabile di Shygirl, il cui intrigante mix di rap, grime, R&B e aggressive produzioni ha finito per collocarsi a metà strada tra le scene musicali più disparate, dal pop di FKA twigs e Lady Gaga (il remix di Sour Candy assieme a Mura Masa) alle visioni futuristiche delle collaboratrici Arca e SOPHIE. Di singolo in EP, Shygirl è andata maturando una peculiare immagine pubblica. Rapper dall’accento inconfondibilmente British e dal vocabolario fermamente radicato nella cultura hip-hop e sottocultura drag americane.

Produttrice dedita a un sincretismo di orecchiabilità e cacofonia (si ascoltino la sua tosse in CC; i pungenti archi alla Psycho in Rude; la distruzione di un sample di Viva Forever delle Spice Girls in BB o le urla laceranti nel tormentone da TikTok Uckers). Performer sex positive d’estrema spavalderia nei suoi brani, video e concerti. Schietta analista di problematiche razziali e sostenitrice della comunità queer nelle interviste e nei suoi legami con l’industria musicale e la club culture.

A due anni di distanza da Alias (2020), un EP di sfrenati, edonistici rap accompagnato da un sorprendente pastiche di immagini body horror e avatar ispirati tanto alla sua figura quanto a quella delle bambole Bratz, Shygirl irrompe di nuovo con il suo primo album Nymph (Because Music). Durante la nostra chiacchierata Zoom Shy si rivela un’interlocutrice estremamente generosa e autoriflessiva. Nymph, ci racconta, rappresenta il suo percorso artistico e personale fino a questo punto, incubando molte di quelle contraddizioni di cui prima si parlava: fino a che punto è possibile proiettare un’immagine di bravado su disco e sul palco? Che ritrovarsi un pubblico più ampio possa portare a un rischio di fraintendimento? Come continuare a coltivare un senso di comunità senza fare della propria identità un “espediente”?

In Nymph suoi fan ritroveranno il mix di ruvide sonorità e riferimenti espliciti che si aspettano: brani come Nike, Missing U e Little Bit costituiscono di fatto il perfezionamento della sua estetica. Al contempo, in brani come Woe, Come For me e Shlut scopriranno un lato più emotivo, ma egualmente combattivo di Shygirl. Accompagnata da una squadra di rinomati produttori tra cui Kingdom, Arca, Mura Masa, Danny L Harle e il fidato Sega Bodega, in vulnerabilità e sperimentazione Shygirl sembra trovare una rinnovata dose di sicurezza in se stessa.

Credo sia interessante avere dei limiti entro cui lavorare e capire cosa fare all’interno di quella dimensione. Per limiti intendo la mia idea di cosa costituisce un album. Per me un album non richiedeva necessariamente un concept, ma un viaggio. Volevo che l’ascoltatore rimanesse con me per tutta la durata delle tracce, il che poteva essere una sfida, dal momento che i miei gusti musicali sono così ampi che non è facile trovare un punto di convergenza. L’ho creato basando tutto su quello che credevo di essere in quel momento in quanto artista e persona.

Credo che (Nymph, NdR) sia una capsula del tempo, rappresenta chi sono in musica. È ciò che proietto dinanzi a me nel mondo per essere compresa. Essenzialmente sono una nerd, per cui mi piace molto portare a compimento un progetto che ha dei parametri stabiliti da altri, manipolando il tutto per fare in modo che risponda ai miei bisogni. È quello che ho fatto con questo album. Ho deciso di lavorare in un settore che ha delle idee prestabilite su come funzionano le cose. Sappiamo tutti come funziona l’industria musicale, per cui la sfida per me era lavorare all’interno di quei parametri, sovvertirli e fare passi avanti.

Quando ho deciso di lavorare con un’etichetta e allargare la mia cerchia professionale, quella è stata da parte mia una decisione di introdurre l’infrastruttura dell’industria musicale, senza compromettere la mia autenticità. Ci sono stati  dei momenti in cui ho detto: “Come funziona il tradizionale lancio di un album? Fatemelo capire e vediamo come farlo funzionare su misura”. Provo soluzioni nuove di continuo e sto a vedere che effetto hanno. Un po’ come con (l’EP del 2020, NdR) Alias, a volte mando una serie di messaggi diversi e sto a vedere come risponde il pubblico. Direi che voglio comprendere e provocare una reazione, un po’ come tutti.

Dico sempre che per creare questo disco abbiamo fatto dei piccoli “campi”, cosa che non avevo mai fatto prima. Ho detto: “OK ragazzi, prenoto un Airbnb e voglio che mi raggiungiate”. Eravamo io, Mura Masa, Karma Kid, Sega (Bodega, NdR) e Cosha. Sono tutti amici con cui spesso esco e registro a Londra, ma questa volta volevo averli tutti per me. La differenza è che a questo giro ero io a dirigere tutti e ad agire da leader della cosa, riunendo persone che di solito frequento in ambienti separati e dicendo: “OK, tu sei bravo in questo, tu in quest’altro…” Non che l’abbia detto loro in questo modo esplicito, ma ero consapevole [delle loro capacità, NdR] e del mio ruolo di direzione.

Sapevo di voler preparare la gran parte del disco in Regno Unito con i miei collaboratori più stretti, con me dagli inizi, e sapevo sarei andata a Los Angeles e che avrei collaborato con musicisti con cui avevo avuto dei contatti in passato, ma senza mai arrivare a un prodotto finale. Per me era importante gettare le fondamenta, così da poter arrivare in America con qualcosa in mano. Woe, Coochie… metà del disco era pronta prima di partire, penso. Ho portato Sega e Cosha con me e abbiamo fatto delle session con produttori tra cui Kingdom, Noah Goldstein e Bloodpop.

Avevo questa sorta di programma segreto: “Sono solo io a sapere cosa voglio fare”. Non riuscivo io stessa ad articolarlo chiaramente, ma sapevo che stavo seguendo il filo di un qualcosa e sapevo che alla fine quel qualcosa si sarebbe rivelato esattamente quello che volevo. È elettrizzante realizzare quel qualcosa con altre persone, tirando fuori il loro meglio e avendo la loro fiducia. Stiamo parlando di artisti che sono il top nel loro ambito e che alcuni considerano i geni della produzione musicale della nostra generazione. Il tutto mi ha incoraggiato a raccontare le storie che avevo bisogno di raccontare e mi ha aiutato a perfezionare il processo creativo, che è ciò cui uno aspira con il proprio album di debutto, no? Lo spazio di sperimentazione che andavo associando a un singolo o a un EP andava perfezionato all’interno del format album.

Ricordo di aver detto alla mia etichetta: “Voglio fare un album che mi soddisfi, ma che sia anche apprezzato dalla critica”. Avevo tutte queste canzoni divertenti e giocose, ma volevo mostrare tutti i lati della mia personalità. Non ho più la “sindrome dell’impostore” perché ho portato a compimento il tutto, ho creato il disco che volevo per me stessa. Sostanzialmente era quello di cui avevo bisogno per acquisire sicurezza in me stessa e proseguire nel mio viaggio da musicista.

Voglio dire, Bedtime Stories è sicuramente un’influenza, ma Ray of Light… è il contesto di quel disco e come si colloca nella sua carriera. C’era un qualcosa di più rilassato, un po’ più ampio, quello è l’impatto di quel disco su di me. Era ad un punto nella sua carriera in cui si sentiva a suo agio nella sua vita, ma anche come donna e stranamente, anche se è solo il mio primo album, ci sono stati dei momenti in cui mi sono detta: “Mi sento a mio agio ora”.

Mi sento sicura e riesco ad approcciare le cose con un po’ più di sottigliezza, perché avendo ottenuto l’attenzione di un po’ di persone, sento di poter continuare il mio percorso con più libertà. È il disco di Madonna con cui mi relaziono di più, quel suo viaggio interiore. L’ho ascoltato molto in macchina a Los Angeles con un amico ed è così che ho immaginato Nymph, un album per un viaggio in macchina, l’idea di lasciare un posto e arrivare in un altro, facendo un viaggio emotivo.

Inoltre è un disco piuttosto sperimentale nella produzione e nell’uso delle tonalità della sua voce. Non ascolto molti album, ascolto principalmente singoli e compilation, ma quello è un disco attorno a cui ho gravitato per tempo, per cui ha finito per influenzare la scrittura del mio album.

Quando abbiamo completato quel brano, ho pensato: “Questo deve aprire il disco. Questo è il disco. È fatta”. Era il brano che doveva stabilire il contesto per l’album. Quando ancora una strofa non era finita, ho detto: “Adesso sono sicura che andando avanti, [l’album, NdR] sarà ottimo”. È strano perché in un certo senso speravo accadesse proprio così, che mi ritrovassi a dire “devo fare un disco, facciamo sta cosa”, e così è stato, ma al contempo Woe nasce da un sentimento contrastante, dovuto alla sensazione che alcune persone si sentono in diritto di pretendere qualcosa da me, quando io non lo farei mai a qualcun altro.

Non mi sento mai in diritto di pretendere qualcosa da qualcun altro. È una sensazione strana, quella di dover introdurre a qualcosa di nuovo le persone che si aspettano qualcosa da te. Il fatto che si aspettino qualcosa da te è una buona cosa, no? In un certo senso mi turberebbe pensare che miei fan non si aspettino nulla. Per cui è strano sentirsi a disagio all’idea di quella richiesta. Anche solo esprimere questa sensazione ad alta voce, posso riderci sopra, rendendomi conto di quanto sia un problema ridicolo, ma al contempo riconoscendo che per me è un’emozione reale.

Woe è un brano strano, perché nella strofa più rap, quella di mezzo, strofa che inizialmente pensavo sarebbe finita altrove, esprimo desiderio per la persona con cui mi vedevo ai tempi, e anche quella è una sorta di pretesa, sentire di avere una sorta di “diritto” a qualcuno, al loro corpo. Per cui quando rivisito Woe a posteriori penso: “Oh, non è ridicolo che sia uscita fuori la stessa cosa, che ho finito per fare la stessa cosa che non mi piace gli altri facciano a me” e mi rendo conto di quanto abbia a che fare con l’essere umani. È questo il bello dei miei brani, mi danno l’opportunità di riflettere su me stessa e arrivare a una certa consapevolezza. E in fin dei conti è quello che l’album è per me, un percorso di consapevolezza, persino brani come Shlut. Parla di come gestisco le mie interazioni con le altre persone. Mi confronto con me stessa, senza nascondere nessuna parte della mia personalità.

C’era molta spavalderia nella mia musica in passato. Anche quella è una parte della mia personalità, ma per arrivare a quel punto, per essere coraggiosa e sicura di te stessa, devi accettare le tue vulnerabilità, devi percorrere quel viaggio, cosa da cui mi tiravo indietro in passato, specie quando si trattava di parlarne in pubblico. (Con questo album, NdR) non volevo nascondere nulla, perché è entusiasmante mettersi a nudo e alla fine sopravvivere.

È sicuramente un elemento che ha influenzato anche questo album. Dopo Alias mi son fatta un’idea delle impressioni che la gente si stava facendo di me, cosa che non tutti hanno l’opportunità di realizzare. E c’era questa percezione di me come di una persona sicura di sé, sessualmente libera, body positive e così via. Ma non mi sento sempre quel tipo di persona nella vita quotidiana. Non sono sempre stata body positive, per esempio, ammetto di aver internalizzato un sacco di fatphobia, dismorfismo corporeo o come lo vuoi chiamare.

Non è un qualcosa cui penso di continuo, ma quando la gente mi ha fatto notare quanto sicura di me stessa appaio, pur non essendomi mai ritrovata al 100% in questa descrizione, l’ho accolta e di fatto non mi sono mai sentita così sicura di me stessa come ora. Ovviamente ci sono alti e bassi, ma in fin dei conti penso di essere maturata anche perché… non c’è altra scelta. Voglio esistere in uno spazio che creo per me stessa, non voglio pensare di non voler andare sul palco perché non sono nel mood.

In passato cantavo di essere innamorata e di essere questa persona fantastica, ma quando è capitato che queste cose non rispecchiassero come mi sentivo, a volte era difficile esibirsi, perché diventava un’esperienza contrastante, inizi quasi a dissociarti e ti senti ancora più distante. È per questo motivo che quando ho scritto questo disco ho deciso di creare spazio per mostrare lati diversi, a prescindere da come mi sento in un dato momento. Questo percorso ha davvero cambiato il modo in cui penso a me stessa, la solidità della mia salute mentale. Penso di essere una persona migliore. Persino nei mesi trascorsi dall’annuncio dell’album, credo di aver avuto una gran crescita personale.

Quando ti presenti in pubblico e senti così tanti pareri sul tuo conto, devi costantemente rivalutare te stessa. Penso di essere molto fortunata perché in generale la gente mi dice un sacco di cose positive, ma finisci per ricordarti quell’unico commento [negativo, NdR] su ventimila, proprio perché suona molto simile a quella tua voce interiore. Cerco di essere più vulnerabile in pubblico. Mi sono detta: “Se continuo con la spavalderia, credo sia umano dovermi mettere alla prova e vedere quanto sono forte davvero”.

Mi rende felice, perché sono gli spazi da cui vengo. Voglio senza dubbio contribuirvi e di fatto è ciò che mi ha dato il coraggio di dire chi sono. Amo vivere in quegli spazi e le persone che creano. In maniera egoista vorrei nutrire e parlare alle persone con cui mi relaziono di più. Amo guardare nella folla e vedere volti che riconosco e rispetto, capisci che intendo? Non voglio parlare a gente che non capisce la mia esperienza. È interessante quando [la mia musica, NdR] raggiunge tanti gruppi di persone, ma non mi tocca più di tanto ad essere onesta, perché voglio parlare alle persone che non hanno sempre la possibilità di avere la mia piattaforma.

Voglio rappresentare quella voce, in tal senso, perché loro sono le persone che mi hanno ispirato di più, che mi hanno nutrito, che mi hanno accolto nel loro spazio. Ora non voglio mai lasciarlo andare e voglio assicurarmi che altre persone abbiano la stessa cosa. È l’unica cosa che puoi davvero sperare, quando crei qualcosa che arriva all’audience giusta. È sempre strano quando… ci sono altri artisti di cui adoro la musica, ma non vado ai loro concerti perché non mi piace il loro pubblico, se capisci che intendo. Il punto è che non voglio essere io quella persona.

Esatto. Immagina fare musica che riceve consenso tra chi costituisce l’opposto di chi sei tu e alla fine quelli sono i tuoi fan e ci devi avere a che fare tutto il tempo. La immagino una cosa catastrofica, sai? Almeno quando la gente mi avvicina per strada, di base è lo stesso tipo di gente con cui parlerei a prescindere in un club.

Penso di aver sempre avuto amici stretti in giro per il mondo e a New York in particolar modo. Quando iniziai a fare musica, furono i miei amici DJ di New York a spingere i miei brani più di chiunque altro e Shayne era uno di loro, assieme a gente come LSDXOXO e Joey Labeja – persone che quando ero in viaggio mi davano un posto in cui stare e hanno continuato a darmi una mano e a credere in me. È una cosa molto importante quando hai un pubblico internazionale che crede nella tua musica. Sai com’è il livello di incoraggiamento nella scena gay nera, specialmente a New York che è un ambiente tosto. È sicuramente un giro esclusivo da morire, ma quando ti supportano per te ci sono davvero e io lo sento. Anche adesso, ci torno tra una settimana e continuo a ricevere messaggi dai miei amici di lì che mi chiedono di vederci.

Per me è molto importante sentirmi parte di una comunità internazionale, perché non mi sono mai sentita particolarmente British. Specialmente quando ho trovato i miei amici black queer… siamo un circo itinerante di persone, senza confini. Fin da quando a 14 anni andavo su MySpace, è sempre stato il formare legami con persone all’estero che mi ha dato sicurezza in me stessa e non sono l’unica a sentirmi così. E siamo una comunità di amici veri, non conoscenze superficiali. Siamo persone che supportano l’un l’altra su GoFundMe e mandandosi soldi su PayPal, parlo di supporto reale, che è una cosa importantissima nella comunità queer.

Non ho mai avuto grandi difficoltà nella mia vita a livello economico o nel ricevere supporto emotivo dalla mia famiglia, ma un sacco di persone nella comunità queer internazionale a me vicina non hanno tutto questo. Magari non hanno avuto opportunità, non si sono trovate al posto giusto nel momento giusto o non sono riuscite a far ascoltare la loro musica, capisci? Per cui di base colgo ogni occasione che mi capita perché voglio creare opportunità anche per gli altri. Sarebbe negligente da parte mia non cogliere opportunità che altre persone non hanno.

Trovo piuttosto assurdo che gli Stati Uniti siano questo grande potere, quando penso, chessò, ad amici trans che ancora stanno cercando di capire come cazzo sistemarsi, o amici che fanno musica fantastica, ma si ritrovano in situazioni di merda… il che può anche essere mantenga la loro musica autentica. Ci sono un sacco di mode là fuori e a volte mi capita di sentire ragazzi etero dire che qualcuno “is giving” (“trasmette/impersona”, in gergo black queer, NdR) qualcosa, ma quando penso alla comunità queer e per cosa sta davvero, non sono solo dei termini in voga, ma la vera famiglia che ti scegli.

È questo il significato della mia musica: quando parlo di un qualcosa in maniera superficiale o usando un certo linguaggio, sto cercando di parlare alle persone che sanno esattamente di che sto parlando, cosa significa trovare escapismo nella musica quando la vita è particolarmente dura.

Trovare un punto di connessione tra la mia musica e l’essere queer non era qualcosa di cui parlavo attivamente all’inizio, perché pensavo: “Sono chi sono e vivo come vivo piuttosto apertamente”. Non volevo… non saprei come dire, non pensavo di dover usare nulla a mo’ di espediente, capisci che intendo? Per cui era interessante come la gente parlasse spontaneamente di identità queer in relazione alla mia musica, cosa che mi piaceva, ma cui io non aggiungevo granché di mio.

Ora sento di avere qualcosa da dire e voglio che sia parte della conversazione, perché voglio che la gente capisca quanta diversità c’è dentro la comunità queer e cosa significa davvero. Voglio mettere in crisi qualunque tipo di stereotipo la gente possa avere e creare opportunità per gli altri. La musica viaggia così in fretta. In passato andavo su Tinder e un uomo etero manco sapeva chi fossi, ma ora la gente mi riconosce, per cui so che ascoltano la mia musica. In questo momento mi pare di avere l’opportunità di continuare la conversazione in spazi in cui prima non sarei mai arrivata.

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