Nocciola Piemonte Igp: segni particolari della nocciola più amata

2022-06-25 03:55:14 By : Mr. Leo Teng

Tanti nomi, parecchie tradizioni gastronomiche (a partire dalla crema spalmabile..) e un prezzo più alto della media: cosa rende la nocciola piemontese la più preziosa e amata d'Italia?

Tonde, croccanti, dal sapore intenso e vellutato, quasi dolce: le nocciole sono indubbiamente la varietà di frutta secca più golosa, ci azzardiamo a dire la più amata. Come abbiamo già visto, in Italia i tipi di nocciole sono davvero tanti. Eppure la preferita, nonché la più rinomata, prelibata (e costosa) è sempre lei, la nocciola Piemonte Igp. Il prodotto tipico delle Langhe è, insieme a vino e tartufo, un’eccellenza nazionale universalmente riconosciuta e apprezzata per le caratteristiche formali, tecnologiche e gustative.

Tutti d’accordo, certo, ma alla fine della fiera quali sono i segni particolari di questa varietà? Fateci caso: dai numerosi (troppi) nomi con cui viene apostrofata, al processo di tostatura che la caratterizza, al prezzo sempre più alto della media, ai prodotti di trasformazione che la vedono protagonista. C’è tanto da dire sul frutto di Corylus avellana del basso Piemonte, e a Dissapore abbiamo deciso di andare letteralmente sul campo (anzi, nel noccioleto) e chiedere direttamente a chi coltiva, confeziona e trasforma questa formidabile varietà. Preparatevi a una full immersion nell’universo della nocciola più amata, dalle colline di Langa fino alla crema dalla golosità impareggiabile.

Non è così facile parlare di nocciola, almeno di quella coltivata nel basso Piemonte. Il suo biglietto da visita è infatti costellato da una serie di nomi, aggettivi e appellativi che a prima vista paiono interscambiabili. E invece no, perché tra cultivar, denominazione e nome comune c’è una bella differenza. Per fare chiarezza sulla questione, siamo andati a Murazzano (CN) a intervistare Claudio Masante, titolare dell’azienda agricola Cascina Masueria insieme al fratello Diego. Ecco spiegati, termine per termine (con relative combinazioni), tutti gli appellativi della famigerata nocciola:

Il nocciolo è una pianta particolarmente resistente che non necessita di cure e trattamenti particolari. L’aspetto più importante da tenere sotto controllo è la crescita dei polloni, ovvero i rami alla base dell’albero che hanno la pessima abitudine di assorbire tutto il nutrimento. La spollonatura fatta bene (ovvero senza diserbanti, come ci spiega Claudio) avviene tre volte all’anno con il caro vecchio metodo del decespugliatore manuale. Tra l’altro il diserbante, oltre al fattore altamente inquinante, è deleterio per la crescita del manto erboso che diventa un elemento essenziale da mantenere tra i filari per trattenere le nocciole al momento della caduta.

Ma andiamo con ordine: il ciclo di vita della nocciola inizia a gennaio con la fioritura, momento in cui gli alberi si colorano di gemme rosse. Il nocciolo è una pianta auto-impollinante: durante i mesi di gennaio e febbraio i fiori maschili ricchi di polline fecondano quelli femminili, possibilmente aiutati dal vento e dall’assenza di pioggia. Questa fase è cruciale per determinare la quantità delle nocciole, la cui resa per ettaro varia tantissimo a seconda dell’annata. Anzi, come ci spiega Maria Paola Pelissero, titolare dell’omonima azienda agricola a Bra (CN) che oltre alla corilicoltura si dedica alla produzione di miele, la capacità produttiva del nocciolo si alterna di anno in anno. Poi ovviamente bisogna considerare gli imprevisti: le cimici asiatiche, la cascola (malattia che non permette la maturazione completa dei frutti), le grandinate primaverili.

Se l’annata è quella giusta e tutto va secondo i piani, la tonda gentile trilobata (varietà tra le più precoci) comincia a cadere tra la seconda metà di agosto e la prima di settembre, in tutto una quindicina di giorni. Si effettuano due raccolte – la prima grossolana, la seconda più mirata dopo l’ultima caduta – con l’aiuto dei soffiatori meccanici, macchine aspiratrici che effettuano una prima cernita di fogliame e di frutti troppo leggeri. La resa media è di circa 10-15 quintali per ettaro.

La nocciola piemontese, più di tutte le altre, ha la particolarità di essere confezionata e consumata già sgusciata, pelata e tostata. Il processo di tostatura ne aumenta vertiginosamente il potenziale organolettico, elevandola da frutta secca “qualunque” a materia prima di eccellenza per la pasticceria e, in generale, a delizia paradisiaca per il palato. Vediamo dunque, fase per fase, come viene lavorata.

No, la qualità non c’entra. O meglio: non è il primo fattore che viene preso in considerazione per il calcolo del prezzo al quintale. Ciò spiega ad esempio come mai, nonostante la qualità altissima delle nocciole 2020, il prezzo non soddisfi i produttori. Partiamo subito col dire che il costo più alto è giustificato dalla resa relativamente bassa: tra gusci, riduzione dell’umidità interna, nocciole marce e pellicolato (oltre agli imprevisti di malattie, parassiti e scorribande di cinghiali) si scarta circa il 50% di ciò che si raccoglie. Poi bisogna prendere in considerazione i fattori esterni riferiti all’annata e all’andamento del mercato: l’anno scorso ad esempio, la produzione piuttosto scarsa e il blocco dell’importazione da Paesi terzi come la Turchia (per uso eccessivo di fitofarmaci, ndr) hanno fatto schizzare i prezzi alle stelle.

Ma, oltre alla volatilità di domanda e offerta, pandemie improvvise e quote rimaste invendute, qual è il criterio generale per fissare il prezzo? Ce lo spiega Claudio Masante introducendoci ai concetti di grado e punto. Il primo corrisponde alla percentuale di prodotto netto sgusciato (scartando ovviamente le unità marce, difettose e il cimiciato); il secondo fa riferimento a 10 grammi di tale netto. Ogni punto è un grado: se, ad esempio, la resa finale di un chilo di nocciole corrisponde a 100 g, avremo ottenuto 10 gradi. Il prezzo finale si determina in base al “punto resa”, metodo che moltiplica ogni punto per la cifra stabilita di anno in anno dalla Camera di Commercio e riferito alle nocciole di prima fascia dallo standard qualitativo più alto. Occorre, in sintesi, munirsi di bilance, macchine sgusciatrici, calcolatrici e tanta pazienza, soprattutto a fronte di un sistema bizantino che, purtroppo, a volte rema contro gli interessi di produttori e consumatori.

Qua ci parte la verve gastronomica, c’è poco da fare. La nocciola Piemonte Igp, come la metti la metti, non delude mai le aspettative. Si va dalla base di prodotti dolciari (granella, farina, pasta), alle ricette vere e proprie come gelato, biscotti e torta alle nocciole. Poi naturalmente ci sono i prodotti tipici, golose chicche sparse per le Langhe tutte da scoprire e assaggiare. Ve ne citiamo almeno due: i baci di Cherasco, dolcetti “brutti ma buoni” composti da cioccolato, nocciole tostate e burro di cacao; e la torta Cortemilia, dolce contadino a base di uova, zucchero, burro e nocciole dell’omonimo borgo in Alta Langa, la cui ricetta è custodita dalla Confraternita della Nocciola.

Per quanto riguarda i prodotti di trasformazione, Maria Paola Pelissero è una specialista in materia. Nel suo laboratorio si sfornano quotidianamente biscotti, torte e croccanti, tutti rigorosamente senza glutine vista la versatilità della granella e farina di nocciole utilizzate come base per l’impasto. Le nocciole a tostatura media vengono poste tra due rulli in pietra in grado di frammentare il prodotto senza surriscaldarlo, in modo da non alterare l’acido oleico contenuto all’interno. Ciò è essenziale per la resa tecnologica dell’impasto durante la cottura, fase in cui l’olio viene finalmente liberato sprigionando il suo aroma inconfondibile e fungendo da legante.

I produttori artigianali come Maria Paola non utilizzano conservanti (la shelf life di biscotti e torte va dai 2 ai 6 mesi) e spesso si avvalgono di ingredienti a filiera corta, addirittura interna nel caso di aziende agricole con più produzioni. Con le piante di nocciolo nel frutteto, le galline nel pollaio e le api nelle arnie, la Pelissero ha tutti gli elementi per realizzare torte e dolci a chilometro zero: granella, uova e miele, e il gioco è fatto.

La pasta di nocciole è uno dei capisaldi dell’industria dolciaria piemontese, base per gelati, farce e prodotti spalmabili di tutti i tipi, dalle conserve artigianali fino al barattolone industriale più conosciuto al mondo. Prima di tutto vediamo come viene realizzata: in questo caso le nocciole subiscono un processo di raffinazione a freddo, che avviene in una macchina provvista di biglie in acciaio inox in grado di sminuzzare le nocciole nell’ordine di pochi micron. Con il movimento, le biglie riescono a estrarre l’olio e a rimescolare l’impasto, composto da una parte solida e una liquida. Il prodotto finale è una pasta purissima, cremosa e vellutata dal sapore estremamente intenso, tanto che ne basta davvero una quantità irrisoria per caratterizzare il gusto dei piatti (dolci e salati) cui viene incorporata.

Dalla pasta in poi, le possibilità sono infinite. La prima e più semplice è la realizzazione della crema di nocciole: la versione artigianale prevede la sola aggiunta di zucchero e cacao con almeno il 45% di materia prima. Nei prodotti industriali invece vengono spesso utilizzati altri olii vegetali e la questione, ci spiega Claudio, non è tanto tecnologica quanto puramente relativa ai costi. La nocciola è naturalmente composta per due terzi di olio, ma chi lavora sui grandi numeri non può permettersi di realizzare prodotti su larga scala esclusivamente a base della prelibata cultivar locale – banalmente, non ce n’è abbastanza per soddisfare la domanda della sola Ferrero, figuriamoci per tutti gli altri.

Prima della Nutella però c’era il gianduja. L’origine dell’esplosiva miscela cioccolatosa è attribuita dall’inventiva dei pasticceri torinesi i quali, per aggirare l’embargo posto da Napoleone Bonaparte che limitava fortemente l’importazione di prodotti dalle colonie britanniche, si videro costretti a limitare l’uso del cacao e pensarono bene di impastarlo con le nocciole. Un’altra versione della storia vede il gianduja come fonte di forza (e coraggio) per le truppe garibaldine, ma la sostanza è sempre quella: ovvero, il felice e intelligente connubio tra una materia prima locale più economica e una esotica più costosa, ma essenziale al fine di aromatizzare e caratterizzare il prodotto finale. Il passo successivo fu la nascita del cioccolatino gianduiotto che ha data e luogo precisi. La ricetta fu codificata dal maître chocolatier Michele Prochet nel 1852 in casa Caffarel, mentre è del 1865 la produzione in larga scala e relativa brandizzazione del prodotto, con forma, involucro cartaceo e addirittura maschera carnevalesca (Torino Gianduja) dedicati e opportunamente registrati.

Più tardi, in quel di Alba, un certo signor Ferrero iniziò a sperimentare una versione spalmabile della crema gianduja, all’epoca realizzata con il 100% di prodotto locale. Il gusto dell’allora Supercrema era molto più “noccioloso” della versione che conosciamo oggi, e il nome “Nutella” spuntava per la prima volta negli anni Sessanta a rendere il prodotto più orecchiabile, ergo vendibile. Il resto, come sappiamo, è storia. Se oggi la Nutella e i prodotti Ferrero a base di nocciole si trovano sugli scaffali di qualunque supermercato, da quello sotto casa fino a Singapore, New Delhi e Johannesburg, prodotti artigianali come pasta pura e crema di nocciole Piemonte Igp al cacao esistono solo qui, in questo fazzoletto di mondo della provincia di Cuneo. Quello che vi possiamo dire dopo averli assaggiati (o meglio, finiti a cucchiaiate in un lasso di tempo vergognosamente ridotto) è questo: provateli a vostro rischio e pericolo, perché dopo la prima volta non si torna più indietro.

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